Da NEXT Generation a Post Millennials, la guida galattica per ibridi digitali

Secondo la Treccani la definizione di “Ibrido” è un individuo animale o vegetale proveniente da un incrocio di genitori appartenenti a razze o varietà diverse, a generi diversi o a specie diverse.

Aggiungerei a questa definizione “Ibrido Digitale”: appartenente a epoche diverse, quella prima di internet e quella successiva. Condizione, questa, che ci permette di osservare con curiosità e interesse i nativi digitali potendo mettere a confronto esperienze differenti e imparare a valutarne aspetti positivi e negativi. Una guida non usuale, un racconto di come, a cavallo fra le generazioni, il marketing si è evoluto seguendo i bisogni e gli interessi della società in continuo mutamento.

La denominazione “Nativo Digitale” si è evoluta sin dal primo momento in cui è apparsa, ieri erano i Millennials i giovani, la Generazione Y o NEXT, oggi loro sono già adulti e hanno fatto la loro comparsa i ragazzi della Generazione Z, i Centennials, nati dopo il 1995.

L’evoluzione del marketing, in questi anni, ha seguito quella dei desideri e delle aspettative delle persone a cui si rivolgeva, plasmandosi e intercettando, a volte indirizzando, i desiderata dei consumatori. Così, per i Baby Boomer, nati tra il 1945 e il 1964 indicativamente, le pubblicità rispecchiavano il periodo di grandi aspettative verso il futuro, di voglia di riscatto, di crescita, di felicità. Parlare ai giovani sembrava semplice, la realtà del cambiamento culturale e della società era evidente, i linguaggi venivano “rubati” dai giovani di allora, impegnati nella ricostruzione di un futuro, ma ottimisti.
Questa onda ha proseguito la sua corsa anche nella generazione successiva, la X, nata indicativamente tra il 1970 e il 1990, nella quale abbiamo assistito ad un cambiamento, ma non così radicale come i giovani di allora potevano pensare. C’è stata una sorta di continuità, sia negli atteggiamenti che nelle abitudini al consumo e il marketing ha saputo, anche in questo caso, adattarsi alle esigenze dei giovani.

Oggi, però, siamo di fronte a qualcosa di inaspettato, qualcosa che ha costretto le aziende, e quindi il marketing, a modificare radicalmente le proprie azioni di vendita – o tentate tali – e a presentarsi in modo più trasparente e corretto nei confronti dei consumatori. Il motivo è semplice quanto complesso, con l’avvento dei social media e il crescere continuo delle community di consumatori, ma anche di semplici seguaci di un brand, la trasparenza è diventata un aspetto fondamentale del ciclo di vendita, le promesse del marketing devono essere mantenute, pena la “pubblica gogna” online e la perdita di clienti o potenziali tali. I giovani consumatori non sono più disponibili ad affrontare relazioni a senso unico, vogliono avere voce in capitolo sulla condotta del brand e dirigerne le azioni che devono imprescindibilmente essere etiche: in breve non vogliono essere considerati consumatori. Ieri il marketing segmentava in base all’età, al genere, alla posizione sociale, oggi tutto questo non vale o, perlomeno, è molto più articolato e coinvolge la sfera dei valori personali. Solo facendo leva sugli interessi personali, su valori condivisi i brand possono pensare, oggi, di poter influire sulle scelte delle persone.

La Generazione X era fatta di adolescenti negli anni 80 e 90 che hanno assistito ad un incredibile sviluppo tecnologico, che ne ha plasmato carattere e desideri. Di quegli anni sono il personal computer, i cellulari, i lettori CD e, ovviamente, internet accompagnati da una sensazione di enormi possibilità di futuro, carriera – vi ricordate gli Yuppies, gli Wasp? – al contrario della generazione precedente figlia della grande depressione.

Una rivoluzione tecnologica dirompente alla quale i Millennials hanno assistito solo in parte e solo in seguito, essendo nati nel periodo della transizione da web 1.0 a 2.0 e avendo la possibilità di essere parte di un’altra grande rivoluzione, quella dei social network, dei blog, dei forum, della possibilità di interagire, comparare, socializzare con il resto del mondo. La globalizzazione, insomma.
Parlando di marketing, e rapporti con le aziende, i Millennials sono la prima generazione che ha avuto la possibilità di interagire con i brand, modificarne le sorti con recensioni positive o negative, diventare essi stessi un brand, magari creando offerte da una pagina Facebook. Sono la generazione dei like, dei cuori, dei feedback, delle relazioni di scambio di giudizi e opinioni. Non esistono più, con il web 2.0, le relazioni a senso unico, non vengono più accettate sentenze o lezioni calate dall’alto senza possibilità di replica, ma sono sostituite da dialoghi, commenti, scambio di prospettive. La sensazione dei Millennials è quella di avere, finalmente, accorciato le distanze, in senso ampio, con i personaggi famosi, con i brand, con il resto del mondo. E’ molto importante comprendere questo aspetto della generazione dei Millennials perché è quello che ci aiuterà a capire la Generazione Post Millennials e Centennials.

“Internet è come l’acqua per i pesci” (Mafe de Baggis): non lo vediamo ma è dappertutto, condiziona le nostre scelte, ci indirizza e affianca nelle decisioni, è trasparente solo in apparenza. Così per capire i Millennials dobbiamo andare oltre il semplice utilizzo cha fanno della rete, capire che sono nati in un mondo connesso che li ha influenzati e indirizzati, condizionandone le scelte.

Il marketing, quindi, deve tener presenti le caratteristiche dei Millennials e sfatare alcuni pregiudizi che sono legati alle loro abitudini, a cominciare dalla convinzione che le loro vite online e offline siano distinte e separate, che l’essere connessi rappresenti “altro” rispetto alla quotidianità. In realtà essi vivono internet, non entrano ed escono a seconda delle necessità ma, ogni giorno, saltellano tra rete, televisione, giornali e radio in modo del tutto fluido. Per fare questo utilizzano uno smartphone, uno strumento che permette loro di essere online ogni giorno e permette a chi si occupa di marketing di calibrare l’operatività su canali differenti.

Perché questo aspetto è così importante?
Perché stiamo sempre più andando verso un ribaltamento del concetto del Marketing Funnel: fino ad oggi per attrarre potenziali clienti dovevo creare un contenuto interessante e raggiungere il “target” fino ad eliminare i contatti meno interessanti per la mia azienda. Oggi, invece, secondo le nuove tecniche dell’Account Based Marketing, scelgo il mio cliente come primo approccio alla strategia e creo un contenuto personalizzato appositamente per lui con l’obiettivo di renderlo un mio Ambassador. Questo aspetto viene evidenziato maggiormente se consideriamo la persistenza dei contenuti online e la propensione dei Millennials a scegliere un prodotto o un’azienda solo dopo averne valutato aspetti positivi e negativi confrontandosi con altri utenti. Solo un Millennial su dieci dichiara di aver sentito parlare di un prodotto dalla pubblicità tradizionale e, grazie alla rotazione periodica dei contenuti online – pensiamo a quanto appaiono ciclicamente sulle nostre bacheche anche solo dopo qualche like – sono sottoposti ad annunci di altri utenti molto più frequentemente che con il classico advertising. Non solo, i Millennials cercano ogni strumento utile per evitare di essere sottoposti alla pubblicità da parte delle aziende utilizzando, ad esempio, estensioni e componenti per bloccare le adv online oppure saltando gli annunci all’inizio dei video sui canali YouTube. La generazione precedente non avrebbe mai potuto saltare una pubblicità alla televisione, se non cambiando canale ma l’esperienza di fruizione era completamente differente perché la pubblicità veniva subita in qualche modo, adesso la pubblicità deve essere un contenuto interessante e creativo per catturare l’attenzione ed evitare di essere ignorata. Questo non significa che le aziende, nel nostro caso i musei o le organizzazioni culturali, non siano più importanti per i Millennials e che i loro messaggi saranno inesorabilmente ignorati, ma che devono costantemente produrre valore, non solo in termini di contenuti offline, per mantenere attivo l’interesse e, quindi, vendere i propri prodotti.

Il valore rimane la chiave di ogni azione di marketing.

Le organizzazioni culturali devono, quindi, conoscere e analizzare i desideri dei Millennials e i valori ai quali sono legati prima di intraprendere qualsivoglia azione di marketing, che sia offline o online che, come abbiamo visto, sono due mondi totalmente interconnessi. La generazione dei Millennials è la più ampia della storia, anche complicata se vogliamo, e presenta caratteristiche che possono aiutarci a comprendere anche la Generazione Post Millennials, quali il desiderio di identificarsi con un brand o un personaggio “famoso” piuttosto che di diventare quel personaggio.

La Generazione Z, o Post Millennials, è più vicina all’essere il nostro target di riferimento in termini di fruizione culturale di quanto si possa pensare: già nel 2019 rappresenterà il 32% della popolazione globale (stimata in 7.7 miliardi), mentre i Millennials il 31%, secondo uno studio di Bloomberg su dati delle Nazioni Unite. Nel 2019 questi ragazzi compiranno 18 anni non avendo mai conosciuto un mondo che non sia digitale ma anche immersi in eventi quali la guerra all’Isis e la recessione globale. Il fattore principale che differenzia le due generazioni, i Millennials e la Generazione Z, oltre all’età, è un elemento di auto consapevolezza, ossia conoscenza del proprio carattere, sentimenti, desideri e necessità, contro un elemento di, diciamo, egoismo. I Millennials erano più concentrati su tutto ciò che poteva essere dedicato a loro, sulle soluzioni che i brand potevano dedicargli; la Generazione Z è più propensa a trovare e creare le proprie soluzioni. I nativi digitali sono costantemente bombardati da messaggi, richieste, offerte e hanno sviluppato una naturale propensione alla selettività.

In alcuni casi questa selettività si trasforma, si estremizza, fino ad arrivare all’abbandono dei social media, contrariamente al pensiero comune che i nativi digitali siano totalmente devoti alle piattaforme online. Uno studio di Ampere Analysis ha evidenziato come, ragazzi tra i 18 e i 24 anni, abbiano cambiato radicalmente le loro abitudini riguardo ai social media negli ultimi due anni. Mentre il 66% di questa generazione era d’accordo con la frase “i social media sono importanti per me” nel 2016, solo il 57% ritiene che la stessa frase sia condivisibile nel 2018. Questa tendenza è inversamente proporzionale a quella delle vecchie generazioni, il cui utilizzo dei social media è, invece, cresciuto dal 23% al 28%, sempre secondo i dati Ampere, tendenza che aumenta la volontà dei giovani di abbandonare i social, dove sono presenti i loro genitori. Ma questa non è la motivazione principale, gli Z sono delusi dalla propensione delle persone a presentare online una versione di sé che non corrisponde alla realtà, a mentire, e riducono o abbandonano Instagram, Facebook & co. per evitare di diventare disonesti. Secondo molti ragazzi, che oggi hanno tra i 16 e i 18 anni, i social network rappresenterebbero una forma di competizione in cui vince chi risulta più felice, pur non essendolo e non sono interessati a partecipare alla gara che presuppone un costante impegno, giornaliero, ad aggiornare i propri profili alla ricerca di like e condivisioni.
Alla base dell’abbandono, quindi, ci sarebbe un desiderio di autenticità, di riuscire a creare delle “vere” relazioni con amici veri.

Come poter inserire una strategia di marketing in questo scenario? Tenendo presenti le caratteristiche dei ragazzi della Generazione Z che potremmo riassumere in alcuni tratti caratteriali generali che i brand devono comprendere.
I Centennials non amano le grandi piazze dove le amicizie si diluiscono e non arrivano in profondità, preferiscono far parte di piccoli gruppi ristretti, nicchie, dove sia possibile avere libertà di parola e condividere davvero la propria opinione; amano la sincerità, la trasparenza, l’attenzione agli altri e all’ambiente che li circonda; sono connessi ma declinano ”hic et nunc” in qui e ora con le persone con cui formano il ristretto gruppo di vere amicizie, non aspirano a diventare o essere qualche personaggio famoso che si esibisce online mentendo sulla propria felicità; ascoltano gli altri e hanno il desiderio di fare qualcosa per arricchire la proprie esperienze.

E’ necessario, quindi, convincere i giovani che i musei possano essere adatti a loro, e non il contrario, e che la loro propensione alla ricerca di soluzioni possa trovare soddisfazione in ambito culturale.

Significativi sono alcuni esempi di musei e organizzazioni culturali che hanno creato progetti interessanti rivolti ai Millenials e ai Centennials e che sono riusciti a non vedere più i giovani come “quei ragazzi disinteressati che non vanno più al museo” ma come una risorsa importante per il futuro.

The MOCA, Museum of contemporary Art, a Los Angeles ha creato un programma chiamato “MOCA Teens” in cui crea connessioni fra i giovani e i rappresentanti del museo in una conversazione a due sensi in cui sono gli adulti a mettersi in ascolto per capire cosa potrebbe attrarre i ragazzi. Da questo programma è nata le “Teens Night”, una serata solo per loro dove discutere di arte, mostre ma accompagnati da musica e altre attività. Il MOCA ha poi collaborato con Whitney Museum of American Art, il Walker Art Center e il Contemporary Art Museum di Houston per capire quanto questo programma abbia avuto un impatto a lungo termine e come i ragazzi abbiano reagito nel periodo successivo ad esso. Il risultato è stato eccezionale, il 95% dei giovani ha risposto che la partecipazione al programma è stata una delle esperienze più significative della loro vita fino a quel momento.

Il Frist Art Museum di Nashville ha creato “ArtLab”, un laboratorio per Maker tra gli 11 e i 18 anni – li chiamano “pensatori” – durante il quale i ragazzi possano sviluppare capacità di pensiero attivo, creativo e sociale a contatto con artisti provenienti da tutto il Paese per discutere con loro argomenti quali l’immigrazione, la salute mentale e la violenza domestica. Questo rientra perfettamente in quello di cui abbiamo parlato precedentemente, ossia la volontà dei giovani di vivere una realtà vera e assumersi la responsabilità di affrontare temi socialmente utili.

Infine, il progetto italiano “Palazzo Grassi Teens”, realizzato da Palazzo Grassi a Venezia. Si tratta di un programma rivolto alle scuole secondarie di I e II grado e basato sull’approccio peer-to-peer, che vuole avvicinare i ragazzi e le ragazze all’arte contemporanea attraverso le opere della Pinault Collection.
Il programma è costruito intorno al sito web teens.palazzograssi.it, uno strumento di mediazione didattica che permette ai giovani visitatori di scoprire gli artisti e le opere della collezione attraverso l’interpretazione fornita dai loro coetanei con l’obiettivo di arricchire le conoscenze, migliorare le capacità di osservazione, mediazione e comunicazione, potenziare le capacità di lavorare in gruppo, coinvolgere i ragazzi come parte attiva nel processo di apprendimento e sviluppare un pensiero critico.

Se vogliamo portare le nuove generazioni nei nostri musei o fargli sperimentare le attività culturali delle nostre organizzazioni dobbiamo, quindi, tenere presenti tutti questi aspetti che contraddistinguono il loro carattere; solo dopo averli approfonditi e analizzati, potremo sviluppare una efficace strategia di marketing e, soprattutto, una efficace strategia di contenuto, sia offline che online, sia dal punto di vista dell’organizzazione del museo – senza escludere bookshop e caffetterie – che della promozione dello stesso, perché non basta avere il wifi, un sito web o una pagina Facebook per dirsi amici dei Nativi Digitali.

PUBBLICATO IN:
“Millennials e Cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro”
Civita Associazione, Ed. Marsilio

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